COME IL PASSATO PUO’ INSEGNARCI A COMPRENDERE IL PRESENTE IN CRIMEA – di Filippo Secciani

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Partendo dall’assunto del filosofo Chartier per cui “la storia è un grande presente e mai solamente un passato” i fatti di questi giorni che hanno come epicentro la regione che si affaccia sul mar Nero sono emblematici e ci sembrava giusto fare una breve panoramica storica sul perché la Crimea è balzata alle cronache internazionali. Dovremmo prestare molta attenzione come cittadini europei a ciò che sta accadendo in questi giorni in Ucraina. Prima di tutto per via della Politica Europea di Vicinato o PEV che impegna l’Unione Europea a garantire stabilità di governance nei paesi limitrofi ai suoi confini quale strumento di stabilità interna all’Europa a 28, in secondo luogo perché l’Ucraina è luogo di intenso traffico per i pipeline che trasportano il gas russo fino alle nostre case, in ultimo perché la regione rischia di diventare ancora di più fonte di stress politico per la Russia, l’Europa e gli Stati Uniti. La regione autonoma di Crimea conta per il 59% abitanti di etnia russa, mentre per il 25% da ucraini ed infine una notevole quantità di tatari o tartari. Dominata dai veneziani e genovesi che la usavano come porto commerciale, fu occupata a metà del 1400 dalle truppe ottomane che seppero resistere agli attacchi russi fino al 1774 quando le truppe zariste riuscirono a strappare la regione al controllo turco e instaurarono la loro zona di influenza fino ad annetterla al loro territorio nel 1787. Nell’età contemporanea la zona è ricordata sopratutto per la guerra combattuta nel periodo che va dal 1853 al 1856. In questi anni era opinione comune che l’Impero Ottomano fosse vicino al crollo e le potenze europee già ne pianificavano la spartizione del territorio. Tra tutte la Russia era la più attiva e da sempre reclamava uno sbocco sul Mediterraneo, pretendendo il controllo sullo stretto dei Dardanelli e sul Bosforo. Lo zar Nicola I rivendicò, quale sovrano di tutti gli ortodossi, il diritto di “gestione” dei luoghi santi cristiani all’interno del territorio turco contrapponendosi alla Francia di Napoleone III; quest’ultima insieme alla Gran Bretagna, consapevoli che la missione spirituale russa nascondeva una motivazione molto più pratica, si opposero all’espansionismo russo dando pieno appoggio all’impero Ottomano. L’impero Ottomano alla fine decise di accettare la proposta di Parigi per il controllo dei luoghi santi cristiani, provocando le ire dello zar che inviò immediatamente un emissario. Venuto meno il processo diplomatico Nicola I mosse le sue truppe in Moldavia e Valacchia e attaccò i turchi nella regione del Caucaso, provocando la reazione comune di Francia e Gran Bretagna, cui si aggiunge anche un manipolo di soldati piemontesi inviati da Cavour, (il motivo dell’invio di un contingente di bersaglieri guidati dal generale La Marmora fu spinto dal desiderio, a guerra conclusa, di portare al tavolo dei negoziati anche le aspirazioni indipendentiste italiane). La guerra si concentrò sopratutto nelle città della Crimea di Sebastopoli dove fu messo sotto assedio, non solo la città ma anche il porto, Balaklava e Cernaia. Quando Sebastopoli cadde Nicola I si dichiarò sconfitta ed iniziarono le trattative al congresso di Parigi del 1856 dove la Russia perse il controllo di Valacchia e Moldavia, trasformate in principati indipendenti ma sempre sotto la sfera di influenza turca. L’impero zarista si vide anche negare l’affaccio sul Mediterraneo, con il suo cedimento della sfera di influenza in Europa, mentre il mar Nero rimaneva territorio neutrale e la marina militare russa deve abbandonare il porto di Sebastopoli. La storia della Crimea prosegue anche dopo questa guerra che ne modificò profondamente la conformazione etnografica con la diaspora dei tatari verso le regioni dell’Anatolia ed economica; la guerra, la diaspora e l’assenza di raccolti la fecero divenire una delle regioni più povere. Con la rivoluzione d’ottobre del 1917 la Crimea si costituì in Repubblica Popolare, per iniziativa sempre del popolo tartaro e resistette circa un mese nel 1920 prima di essere duramente sconfitta dalla flotta bolscevica e anarchica. I soviet costituirono successivamente la Repubblica Autonoma Socialista Sovietica di Crimea che si protrasse fino all’invasione nazista. Qui, durante la seconda guerra mondiale, si combatté duramente, la città di Sebastopoli riuscì a resistere un anno fino alla sua presa nel 1942. Con la sconfitta tedesca iniziò la deportazione voluta da Stalin del popolo tataro, con l’accusa di collaborazionismo con le forze tedesche che costò la vita a circa metà della popolazione. La regione fu infine donata all’Ucraina nel 1954, per celebrare la ricorrenza per i trecento anni dell’annessione ucraina alla Russia. Con la caduta dell’Unione Sovietica la Crimea è rimasta una regione dell’Ucraina sebbene la maggior parte della sua popolazione si fosse opposta, tanto da riuscire a strappare una forma di autogoverno – figura giuridica di repubblica autonoma con un proprio parlamento ed un governo a Simferopol – che la vincolava comunque all’amministrazione nazionale di Kiev. L’”anomalia politica gravissima” come l’ha definita Aldo Ferrari sta in questi giorni dimostrando tutta la sua fragilità politica e storica. Il ruolo non solo della Crimea, ma l’intera Ucraina, rivestono nell’ottica di Mosca fa si che non possano esserci cedimenti e ciò spiega in parte la decisione dell’invio di truppe nella regione. L’indipendentismo è un tema caldo in questi giorni, probabilmente più propagandistico che altro. Comunque è stato indetto un referendum il 30 marzo per stabilire se la Crimea debba rimanere o meno legata all’Ucraina. Fondamentale per comprendere la situazione è il ruolo che ha la flotta russa nel porto di Sebastopoli; immensa con le sue 60 navi ed i suoi undici mila uomini; L’ex presidente Yanukovich ha esteso la concessione del territorio fino al 2042. Un altro nodo importante come abbiamo già avuto modo di vedere è il ruolo etnografico che ricopre la Crimea. Seppure stiamo assistendo ad uno scontro etnico a bassa intensità, potrebbe non essere escluso un ulteriore peggioramento se la crisi si dovesse protrarre ancora a lungo o peggio se possa avere risvolti armati. Dunque da quanto emerge da questo breve resoconto, abbiamo visto come la regione della Crimea sia una zona fondamentale per la geostrategia di Mosca nella regione – dal porto di Sebastopoli sono infatti partire le navi intervenute nel secondo conflitto in Ossezia del Sud e come l’eterogeneo miscuglio di etnie che compongono l’Ucraina in generale e la Crimea in particolare possano avere un ruolo di tensore sociale ancora più forte. A ciò va aggiunto la ferma posizione di Mosca che continua ad inviare truppe nella capitale Simferopoli, la titubanza europea nel processo decisionale ostracizzata dagli interessi particolaristici delle singole nazioni ed infine gli Stati Uniti che non hanno ben definito una linea di azione. Certamente qualsiasi decisione passerà dapprima dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, non vi sono interessi di nessuna forza nazionale a provocare un’escalation nella regione così troppo vicina al Caucaso.

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