LE DUE TORRI – pt 1 – Fausto Jannaccone

…un vigoroso sorso e finì quello che restava del suo Lagavulin, in realtà quasi mezzo bicchiere, e posò sul tavolino il recipiente che adesso non conteneva altro che un vago riflesso della torre, illuminata dai generosi e numerosi faretti sparsi sui tetti che circondano la piazza. Gli altri seduti con lui erano indecisi se interpretare il gesto come segno del fatto che ritenesse per quel giorno esaurito il tempo da concedere alla discussione; o, altrimenti, come già altre volte aveva fatto, avrebbe ordinato una seconda razione per alzare il livello del dibattito. “Me ne fa un altro, sempre acqua e ghiaccio a parte, gentilmente?”, dopo di che estrasse dalla tasca destra della giacca la bustina dove teneva la pipa. Il livello si sarebbe alzato. Decisamente.

“Dunque, valutiamo tutti i fattori del contesto attuale” disse “niente istituzioni, niente soldi, nessuna garanzia… e idee?” Gianni si morse leggermente il labbro inferiore come faceva sempre quando stava per sbilanciarsi in qualcosa di ardimentoso da dire: “Dave, l’idea è questa: facciamo finta, diciamo a noi stessi, che da adesso non siamo più nello stesso posto dove siamo cresciuti, dove ci siamo seduti 20 minuti fa, prendiamo il coraggio a quattro mani, e partiamo con il progetto. Altrimenti ognuno per la sua strada, e vaffanculo tutto.”

“Ottimo, adoro l’ottimismo!” commentò Landini “comunque io ci sto, il mio passatempo preferito è buttare me stesso nel cesso!” ed alzò la birra ad un immaginario brindisi.

Landini prendeva sempre la birra piccola, magari anche 5 o 6 di seguito, ma piccole, perchè la birra la voleva sempre freddissima, anche a gennaio, e la pinta avrebbe concesso troppo tempo alla temperatura per compromettersi. Gianni sperimentava, forse per la sua indole artisteggiante e la sua brama cosmopolita, sperimentava tutto: quando poteva scappava ad assaggiare pozioni in giro per il continente; se il bar era invece quello abituale costringeva il barman a ricerche incredibili e spericolate nel mondo degli alcolici e della loro addizione. Dave invece era classico e metodico: scotch whiskey, affumicato quanto più possibile, con piccole concessioni nei mesi più caldi al prosecco.

Cresciuti insieme (per la verità un po’ tutti crescevano insieme in quella piccola città, capoluogo ma dai numeri paesani), si erano poi nel tempo, prendendo coscienza di loro stessi e un po’ del mondo, scelti per affinità di interessi, passioni e modus vivendi.

La musica, le ragazze, il vino, l’arte. Intendiamoci, non erano certo esperti, più appassionati diciamo.

E poi naturalmente c’erano le differenze, come ad esempio lo sport, Max era da buon italiano soprattutto per il calcio, Gianni amante del ciclismo, Dave della poltrona. O gli studi: il primo s’era buttato sulla storia, il secondo sull’arte e Dave invece aveva scelto la letteratura.

Ora che erano giunti alla soglia dei trent’anni dovevano fare qualcosa: c’era in ballo la loro strada, e contemporaneamente quella del mondo, il loro.

Era finito il tempo della discesa, più o meno precipitosa e precipitata della vita, quella in cui l’attrazione gravitazionale, per così dire, ti spinge e tu non devi fare altro che provare ad opporre meno resistenza possibile… Scivoli giù che è una bellezza quando sei piccolo, con le scuole vai ancora bene, l’università si fa falso piano ma vivi di resa della velocità accumulata negli a anni precedenti. Poi finisci gli studi, finisci le paghette, finisci gli anni col 2 davanti e sei fermo. Ora gambe in spalla, comincia la salita; passo dopo passo, un due, e cominci a scalare, e non è graduale, è da subito una pendenza da tappa alpina del Tour o del Giro… forza, cuore, testa e gambe… poi meglio per te se ti sono rimasti dei gregari.

E questo è quello che speravano di essere loro: in tre a partire con la scalata.

Il progetto era questo: prendere in prima persona la responsabilità, frugare nel bagaglio culturale e nelle idee reperibili nelle loro testoline, e provare a “fare”. Nessun altro aiuto che loro stessi.

Ma voglia e amicizia sono un bel punto di partenza.

“Prendiamo uno spazio, di quelli periferici, abbandonati, insensati” riprese Gianni, estraendo nel mentre una foto dal portafoglio “eccolo qua!”

La mise sul tavolo dando Max e Dave la possibilità di vedere che era un ritaglio di giornale con raffigurata la cosiddetta “Torre dei pomodori”, un vecchio monumentale edificio, la classica cattedrale nel deserto, eretta in un qualche periodo dell’oro della produzione, certamente ormai trapassato; ora riposava abbandonato con forse l’unica ipotetica romantica funzione di faro che guidasse i naviganti in quelle zone di non campagna nè più città, stella polare per camionisti.

La sua immensa mole, il suo stesso aspetto, prigioniero in una scura rete metallica che lo avvolgeva per tutti i suoi 50 metri di altezza, lo rendeva completamente estraneo al contesto. Doveva aver avuto funzioni di raccolta e lavorazione dei prodotti della terra e forse avrebbe potuto davvero diventare una scatola per la raccolta e produzione culturale. La città era necessariamente vincolata a se stessa, troppo stretta e piccola probabilmente per poter contenere ancora altre cose oltre alle sue chiese, affreschi, dipinti, strade e rituali.

Quindi se avessero voluto andare oltre quel livello congelato, dove erano cresciuti e che aveva permesso loro di divenire ciò che erano, ma che forse ora era il momento di superare, avrebbero dovuto inventarsi necessariamente qualcosa di diverso e “fuori”.

“Ok”, sospirò Dave “potrebbe andare… Non so davvero come legheremo ‘noi’ a ‘torre dei pomodori’, come potremo avere un accesso… in effetti non saprei nemmeno da dove partire, chi sentire… cosa chiedere! Però abbiamo fissato un primo obbiettivo… Max, che ne dici?”

“Bello, affascinante… grande… troppo per noi? No dai, se no inutile anche esser qui a parlarne… Proviamoci!”

“Inizia la prima fase che chiameremo ‘Le due Torri’ ” esultò Gianni alzando il suo Bloody Mary.  Anche Dave e Max alzarono le rispettive bevande, al benaugurante brindisi. Sicuramente Max non aveva colto la citazione e pensava a qualcosa di inerente agli scacchi. Ma questo era un irrilevante dettaglio.

(continua…)

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